WILLIAM SOMERSET MAUGHAM: IL CINICO BUONO

WILLIAM SOMERSET MAUGHAM: IL CINICO BUONO

Sono quasi un po’ tediato di scrivere sempre di autori inglesi, quindi con Maugham mi prenderò una pausa. Forse. Forse no, vedremo. Non potevo però, esimermi nel raccontarvi un talento da pochi conosciuto, testimone di una vita imperscrutabile e violenta, quale Maugham era e da cui appariva essere quasi distaccato e disinteressato.

La sua forza è esibita certamente, nella estraneità  morale a ciò che narra, nella distanza, nell’assenza o nel taglio radicale di qualsiasi forma di giudizio.

Personaggio enigmatico e impassibile, ne fanno uno strumento di malcelata pericolosità.

In uno dei suoi romanzi più celebri, “Il fantasma nell’armadio”, mise talmente in ridicolo la figura dell’amico, Hugh Walpole, anch’egli scrittore molto popolare, ricavandone il fatuo emblema del futuro imbecille, da farlo morire di crepacuore.

Nato nel 1874 in una famiglia di giuristi e diplomatici, Maugham perse la madre giovanissimo, e questo episodio, lo segnò moltissimo. Studente insofferente alla disciplina, fu spedito in un collegio di religiosi, ove frequentemente veniva deriso per la sua bassa statura e la sua balbuzie. Proprio qui impara a reprimere le emozioni, e sperimentare l’infelicità.

Sempre qui, iniziò a mettere in pratica le sue grandi abilità nel fare osservazioni pungenti verso persone di cui nutriva dissapori e disprezzo.

Ciò non toglie che fosse anche un uomo buono, affermando a più riprese di credere nell’amore, nell’entusiasmo e nell’amicizia: peccato fosse incapace di praticarle! D’altra parte, il suo particolare stile ci svela la malvagità del mondo, l’insensatezza della vita, lasciando l’uomo buono in un angolo, venerato come fosse un santo, quasi un Cristo, che però traeva ben pochi vantaggi dall’essere tale.

I suoi studi, che lo portarono a laurearsi in medicina al King’s College di Londra, contribuirono a costruire la cifra inconfondibile del suo temperamento e del suo valore letterario.

Egli stesso affermava che aveva visto “come le persone muoiono, come sopportano il dolore e come sono la speranza, la paura ed il sollievo”.

La sofferenza corrode i valori umani, la malattia amareggia ed incattivisce le persone, rendendole uomini e donne diverse da come sarebbero. La vita “nuda e cruda”, che offre a Maugham la possibilità di osservare un’ampia gamma di emozioni umane, senza farsi peò condizionare.

La vita sentimentale di Maugham non fu facile. Ha amato sempre persone che, a suo dire, non erano interessate a lui, e se lo erano, lui provava imbarazzo, fingendo passioni che non provava e sentimenti a lui estranei.

Ebbe legami sentimentali importanti con uomini, ma anche delle relazioni con delle donne. Nello specifico, dalla storia con una certa Syrie Wellcome, nacque la sua unica figlia, Liza. Ai suoi tempi, Maugham non poteva dichiararsi apertamente gay o forse, come tanti, non accettava il suo orientamento sessuale, vivendo in un mondo dove l’essere omosessuale era uno status da uomo indifendibile, reietto, se non persino illegale.

Spesso vedeva nelle belle donne, l’essere rivale e perciò meritevole delle sue ciniche invettive, attribuendo al genere femminile, appetiti e bisogni sessuali, in modo quasi carnale, determinate a soddisfare i loro desideri senza badare alle conseguenze: un fatto poco usuale per gli scrittori della sua epoca.

A mio giudizio, il libro più interessante di Maugham è “Schiavo d’amore” pubblicato per la prima volta nel 1915. Il titolo è tratto da uno dei postulati di Spinoza sulla schiavitù umana, presente nel libro Ethica.  Romanzo semi-autobiografico, il cui protagonista, Philip Carey, come Maugham, rimane orfano della madre, venendo allevato dallo zio, un religioso.

Philip era affetto da piede equino, motivo di forte imbarazzo, paragonabile a quello che Maugham viveva con le sue difficolta dategli dalla balbuzie.

Anche Philip intraprenderà la carriera medica, vivendo al contempo una intensa e tormentata storia d’amore con Mildred, ragazza bella ma amorale e a tratti inetta, che finirà per portare il giovane quasi alla pazzia.

Molto particolare il romanzo “La luna e i sei soldi”, liberamente ispirato alla vita del pittore Paul Gaugain e pubblicato nel 1919. L’opera fece scalpore, per i suoi toni ribelli ed il suo anticonformismo, esibito in maniera candida e audace.

La trama è la vita di un artista che si scopre tale, che ha qualcosa di strano, che lo fa sentire al di fuori e al di sopra delle norme della vita sociale, familiare, lavorativa, in cui era, fino ad allora, inserito suo malgrado.

Emerge quel qualcosa di viscerale, primitivo, eppure spirituale, che cerca drammaticamente le forme dell’uomo e della sua espressione.

L’autore ci rappresenta in modo efficace il fascino, a volte perverso, che emana dal demone dell’arte e che pone chi ne è posseduto “al di là del bene e del male”.

Nel romanzo “Scheletro nell’armadio” apparso nel 1930 e pubblicato in Italia per la prima volta, come i libri precedenti, da Adelphi editore, abbiamo in copertina la rappresentazione di un quadro di Magritte, “La voce del silenzio” del 1928. Sembra di leggere una commedia di Jane Austen, a tratti prolisso e manieroso, il libro racconta la storia di una ricca vedova, tale Mrs Wiffield, la quale, desidera mantenere la memoria del caro estinto al riparo da scandali e pettegolezzi (da qui il titolo e il ritratto di copertina efficaci come una pioggia in piena estate).

Peccato che il mestiere di agiografo, ricada su un tale Alroy Kear, astro nascente della scena letteraria, noto per essere un grande divulgatore e venale scrittore, in grado di spolpare un uomo fino all’osso, senza per questo serbargli rancore.

Il minimo che possa accadere, a questo punto, è che dal passato del poveretto, tenuto cosi in segreto dalla vedova, emerga almeno un fantasma, o almeno, qualcosa che abbia le sembianze di spregevole per i nobilissimi salotti londinesi ed i suoi frequentatori, cosi affamati e curiosi.

Concludo con il libro forse per me più affascinante di Maugham: “Il velo dipinto”, pubblicato a puntate sulla rivista “Cosmopolitan” tra il 1924 e il 1928. La trama é tra le più classiche. Lei decide di tradire il marito medico, che ha sposato dopo una giovinezza dissoluta e mondana, con un uomo che giudica più affascinante, perché più spregiudicato.

La tresca funziona, fino al giorno in cui i due clandestini, hanno la sensazione che il marito abbia scoperto tutto, cosa che in realtà avviene, perché l’uomo, il tradito, peggio cornuto, li coglie in flagranza.

L’adultera confessa, si pensa ad una separazione oppure un divorzio. Sconvolta e piangente, la bella si reca dall’amante, sperando in un conforto, meglio in una notte di passione e oblio retrogrado, per poi iniziare la nuova convivenza. Ma ecco l’amara sorpresa: l’amante non ha nessuna intenzione di lasciare la moglie e di mettersi con lei.

Dobbiamo immaginare la storia in un contesto molto particolare. Siamo nella colonia inglese di Hong Kong, nella metà degli anni venti del secolo scorso. Romanzo caustico, festaiolo, modaiolo, sempre un po’ cattivo. Forse che Maugham sia stato influenzato dall’episodio dantesco di Pia De Tolomei, pensando di aggiungervi qualcosa? Lascio a voi lettori il giudizio, non senza una frase stimolante di Maugham: “in tutto il mondo ci sono storie meravigliose da scrivere. Basta avere le palle”. Fatela vostra, siate cinici, spavaldi ed audaci.

Leggete senza farvi prendere dalle emozioni, ma vivendo l’attimo che fugge e non torna. Però non abbandonatevi troppo al cinismo, state in allerta. Si perché in fondo, il cinismo è la crudeltà dei delusi: non possono perdonare alla vita di aver ingannato le loro certezze ed il falsocinismo è più patetico di una debolezza fuoriluogo. Meglio avere un cinismo algebrico, dove il totale è dato dalla somma di ogni cicatrice che la vita ci ha purtroppo inferto.

 Buona lettura.

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