LA FUGA E LA NOTTE – Tommaso Vercellio

LA FUGA E LA NOTTE – Tommaso Vercellio

Camminate all’aperto questa estate, vicino al mare, lungo il greto di un fiume (torcia alla mano), ma fatelo di sera, di notte”

Alzando lo sguardo alla volta celeste, osservo come la notte avvolga tutto quello che sta intorno a me e lo ricopra di una contemplativa aria di mistero.
Serenamente, sembra che ogni forma di vita lasci che l’invisibile oscurità imprima nel proprio lato più vulnerabile, le tracce della sua presenza; i silenzi sono ascoltati nella più completa attenzione, per lasciare spazio al più assoluto riposo.
E’ ora tarda, è sera, nei dintorni sono tutti chiusi nelle proprie case a godersi la pace della nottata, uno stacco dalla vita quotidiana, la morte del giorno; solo io sono qui, sul davanzale della mia terrazza romana, a godermi la disponibilità del buio a farsi ammirare, a farsi corteggiare.
Vedo che la notte ha inghiottito la città, portando calma e lieta serenità; le luci delle piccole stelle che brillano in cielo donano quel poco di scintillio, tanto per farci capire che ogni cosa sta riposando, ma non ha ceduto il passo alla morte. Morte, primo pensiero che mi risale nella mente osservando le tenebre: “il sonno eterno” è un fatto singolare nella vita di ogni persona, e può essere vissuto in due modi, a mio modesto parere: il primo, in cui si soffre perdendo una persona cara, e nel secondo, quando si perde la propria vita.
In entrambi i casi, dona tristezza e solitudine, come la buia oscurità senza stelle, di una notte cupa.
E’ una cosa naturale, e va accettata come quando, al calar del sole, la giornata finisce, e tutto diventa un ricordo, seppur bellissimo.
Ma la nottata non è solo tristezza e morte. Non per me. Non lo è mai stata. Il principio del mio scritto era per parlarvi di come molti, troppi, vedono la notte.
Io la notte la contemplo, provo sollievo, e le ore del buio, sono un gioiello da gustare per la calma e la pace che regalano, come un ritornello di una bella canzone.
Le ore del buio, sono per me un periodo di fuga dalla realtà, un mondo in cui mi rifugio dopo un giorno difficile, uno stress patito, una delusione, un litigio.
La notte ha per me un fascino inesauribile. E’ come lasciarsi avvolgere, in una tiepida sera d’estate, nel fatato e ovattato mantello di silenzio, e permettere all’immaginazione di vagabondare senza alcun freno. Di notte non si hanno impegni, si è più liberi.
Nel terrazzo di Minorca, amo guardare la luna che si staglia sul mare calmo, dopo una giornata uggiosa, quand’anche il vento ha ceduto il passo alla notte, come in una simbolica gerarchia di ruoli. La notte viene prima di tutto. Di notte tutto deve tacere.
In quella soffice limpidezza notturna, illuminata dalla luna, posso udire il rumore del mare, continuo, lento, placido e inarrestabile. Posso sentire in lontananza, i suoni celati dal giorno, dei misteriosi animali notturni, che si nascondono nel buio.
Sembra di vivere in un sogno consapevole, in cui non si riesce a comprendere, dove comincia la realtà e termina la fantasia. Per me la notte è passione, malinconia, romanticismo, musica e leggerezza.
Di notte, i nostri sentimenti si estremizzano. Mia mamma, mi ammonisce sempre: ”non scrivere di notte, che dici cose più grandi di te, e poi il giorno dopo, te ne penti”. Forse ha ragione, ma è più forte di me.
Poi c’è la fuga, di cui la notte è complice. Io sono sempre fuggito, molto spesso di notte. Non sono un ladro, intendiamoci bene. Perché poi, voi, amici del blog, fate la spia e si scopre, che sono l’Arsenio Lupin di collina Fleming.
No, sono fuggito di notte, perché non volevo svegliare chi dormiva, lasciarlo, motivando la mia partenza, che, nella maggior parte dei casi, non aveva un perché.
Ci sono state sporadiche fughe di giorno. Al Liceo, il primo anno, venivo bullizzato durante le ore di Educazione Fisica. Più che una educazione, era una maleducazione fisica. In tutti i sensi. Non sono mai stato un grande sportivo, e detestavo quelle ore curricolari, in cui ci imponevano ogni settimana, un supplizio ginnico, fuori dalla mia portata.
Il gioco era il calcio. Quando si formavano le squadre, i capitani, sceglievano tutti, io rimanevo quello che si rimpallavano i due capisquadra. Un disastro.
Feci due lezioni, venni umiliato, e decisi, pur eccellendo in tutte le materie, di fare altro nel pomeriggio. Così, quando tutti si ritrovavano al bar, per poi rientrare a scuola per giocare a calcio, io andavo nella basilica di Sant’Ambrogio, poco distante dal mio edificio scolastico.
Passavo lì del tempo. Cosa c’entra con la notte? Tutto ha un senso. Trovavo a Sant’Ambrogio quel tepore, quel silenzio, quella calma, quel perdono, quella gentilezza, che solo la tenera notte ti sa concedere.
Eppure io non sono un grande cattolico. Nemmeno ho fatto la cresima. La prima comunione la feci da privatista, perché ero insofferente al catechismo. Eppure, in chiesa, in quella chiesa di Milano, tempio del rito ambrosiano, trovavo la pace, la serenità e la calma.
Seguirono interpelli del preside, che si raccomandò a gran voce, con i miei genitori, che lui mi avrebbe bocciato, se non mi fossi presentato ad almeno una lezione di quella, oh mio Dio, non fatemi pronunciare la parola….Ginnastica? L’ho detto!

Conseguita la patente di guida e la libertà, fuggivo appena potevo, in un altro posto a me caro: l’abbazia di Morimondo. Un luogo magico, a pochi chilometri da Milano. Anche lì, come di notte, trovavo pace e serenità.
Perché a me il mondo di giorno non piace. Questo si era capito. C’è stato un preludio, dove vi ho descritto che cosa è la notte, poi le mie fughe notturne.
A sentire illustri medici, stare svegli fino a tardi, altera il ritmo circadiano, fa male alla salute, è sintomo e sinonimo di sregolatezza. Fa molto bohémienne, vivere di notte, ma non è certo apprezzato dai più.
I miei genitori non mi capiscono. Eppure, senza annoiarvi, vorrei dirvi che, uno psicologo, presumo giapponese, tale Kanazawa, dopo lunghi e attenti studi, afferma che chi gioca sotto la luna e non si lascia condizionare dai modelli che la società impone (potendoselo permettere), seguendo il consiglio di andare a letto presto, è più intelligente, di chi si affretta a recarsi sotto le lenzuola, prima che giunga la notte.
Per me questa tesi “ci azzecca”, come direbbe il buon Di Pietro. Una persona curiosa come me, non riuscirebbe a resistere all’attrazione magica della notte, carpendone quei segreti, che parlano nel silenzio.
I miei genitori, la gente comune, persone che noi non siamo, se mi seguite, va a dormire e non conosce la notte. Parlano di sonno ristoratore, per recuperare le energie spese, durante il giorno e bla, bla, bla, bla.
Peccato ignorino, la sua inimmaginabile potenza rivelatrice, che la colloca, tra il giorno finito e il domani che giungerà.
Ricordo, futuro, transazione. Troppo complesso? Neah, non ditemi cosi.
Assaporate il profumo della notte, respirate profondamente, e verrete ammaliati, perdendo la cognizione del tempo. Fatelo per me, mi farete compagnia.
Notte, rifugio di animi inquieti, inguaribili sognatori, che non tollerano la luce accecante del sole.
Poi, dopo questo mio scritto, che avvio a conclusione, vi informo, a proposito di libri, che molti dei più grandi capolavori letterari, sono stati creati…di notte!!
Non li cito tutti, sennò, andate via e io per chi ho scritto? State seduti, un momento ancora.

Antoine de Saint-Exupery ha scritto:

“Notte, l’amata.
Quando le parole svaniscono e le cose prendono vita.
Quando la distruttiva analisi del giorno è conclusa e quanto è veramente importante diviene intero e risuona.
Quando l’uomo ricuce il suo Sè frammentato e cresce con la calma dell’albero”

Shakespeare ha detto sublimi parole:

“Vieni, o amabile notte dalla nera fronte,
Dammi il mio Romeo;
E quando egli morirà, prendilo e taglialo in piccole stelle,
Ed egli renderà così bello il volto del cielo,
Che tutto il mondo si innamorerà della bellezza della notte,
E non presterà più nessun culto all’abbagliante sole.”

Concludo con un pittore poco amato in vita, ma celebrato postumo, che amo moltissimo: Vincent van Gogh. Quando dipinse la “Notte stellata”, egli diceva che non sapeva nulla con certezza, se non che la vista delle stelle lo faceva sognare. Egli era internato in un manicomio, interiorizzava la realtà, quindi non si vede un paesaggio reale, ma l’espressione pittorica del mondo intimo dell’artista, vibrante delle sue emozioni e delle sue paure.
Prima di scegliere l’internato volontario, Vincent scrisse: ”Con un quadro, vorrei dipingere qualcosa di commovente come la musica. Vorrei dipingere uomini e donne con un non so che di eterno, di cui un tempo era simbolo l’aureola, e che noi cerchiamo di rendere con lo stesso raggiare, con la vibrazione dei colori. Il ritratto, ah il ritratto, che mostri i pensieri, l’anima del modello: questo si deve vedere. Penso spesso che la notte, sia più colorata e più viva intensamente del giorno”.

Insomma, vi ho fatto fare una fuga nella notte. Nella mia, ed in quella di tanti artisti. Ho provato a farvi capire, quanto e quando la notte può essere triste o dolorosa, piena di solitudine, perché carica dei rimpianti del giorno trascorso, oppure quanto la notte non sia meno meravigliosa del giorno, meno divina, perché risplendono le stelle, si hanno rivelazioni, si ha tempo per pensare e contemplare.
Camminate all’aperto questa estate, vicino al mare, lungo il greto di un fiume (torcia alla mano), ma fatelo di sera, di notte. Sotto un cielo silente, sentirete l’acqua che scorre quieta, piena di mistero e che vi solleticherà gli abissi dell’animo.

TOMMASO VERCELLIO

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