DINO BUZZATI – IL DESERTO DEI TARTARI: TRA MITO, ALLEGORIA E REALTÀ

DINO BUZZATI – IL DESERTO DEI TARTARI: TRA MITO, ALLEGORIA E REALTÀ

Ho già affrontato un libro di Dino Buzzati, “Un amore, che mi ha suscitato curiosità e sorpresa.

Buzzati e’ stato principalmente un giornalista, assunto giovanissimo al Corriere Della Sera, dopo una laurea in Giurisprudenza, presa più per far contento il padre, che lo voleva avvocato, che per interesse personale.

Ho scelto di recensire questo libro per più motivi. Il primo e, forse il più preponderante, è per rispondere alla domanda che molti mi fanno, miei genitori compresi.

Ebbene mi chiedono come possa stare da solo a Minorca, in una isola sperduta nel mediterraneo, in una villa isolata, con pochi amici.

Forse il mio vanto: quello di riuscirci, beninteso.

 Il fatto di fare cose non comuni, con non chalance, e di trovare cose estremamente comuni, per me difficili da svolgere, è stato sempre uno dei miei tratti distintivi.

Ve lo ricordate il protagonista del libro? Il tenente Drogo, la storia di un militare qualunque, almeno per la maggior parte delle persone, ma non per me.

Per me è la storia di un uomo pieno di ambizioni ed aspettative, come tanti dei suoi commilitoni, ma che si esaurisce lentamente in una serie infinita di attese immaginifiche, prive di sbocchi reali, la storia di ogni esistenza priva di slancio o che, al contrario, conosce a volte, anche solo intuendolo, lo slancio e costruisce il suo mondo intorno ad esso, perdendo il contatto con la realtà.

 Una vita, quella del militare, fatta di meticolosi riti, ovattata dall’abitudine, scandita da giorni ed azioni, dove l’abitudine si trasforma in rito, in grado di preparare la persona, l’ufficiale, all’imminente arrivo dei Tartari, e dare avvio alla tanto agognata offensiva.

Un uomo solo, che piano piano perde la ragione, credendo nel mito dei Tartari.

Non è l’unico ad avere questa ossessione, questo credo folle, in una battaglia dove Egli,  assurgerebbe all’onore della cronaca, combattendo valorosamente, come nella sua vita ha imparato, facendo quello per il quale si è addestrato.

La frontiera, al di là di uno spazio immaginifico e senza tempo, come un’oasi, al di là della quale dovrebbe palesarsi, prima o poi l’esercito dei tremebondi Tartari.

 Metafora di un vuoto interiore? Luogo misterioso, certamente.

Il deserto si sa, è un luogo in cui tutto è mistero.

 Provai una immensa inquietudine, quando lo sorvolai con l’aereo, diretto in Sudafrica. Pensai al peggio. Se cadesse l’aereo in questo spazio, fatto di un paesaggio lunare, di sorgenti ed oasi, di cavalli abbandonati, di ferrovie infinite e strade senza meta, cosa farei? Lo stesso deve aver pensato l’ufficiale Drogo, ahimè, trovandosi a vivere nel deserto, e non a sperare di non finirci a seguito di una disgrazia aerea.

Che la ricerca del tenente Drogo possa compendiare in sè quella di molti uomini, che saldi nel perseguire un obiettivo, scrutano imperturbabili l’orizzonte?

 Forse sì, ma non lo credo totalmente.

 Per certi versi, l’immagine dell’uomo solo, nel mare di sabbia, fa pensare a quella del vecchio di Hemingway, solo sul suo peschereccio, solo son sè stesso, solo a fare i conti con le proprie paure e la vocazione che ognuno dei due, il vecchio di Hemingway ed il tenente di Buzzati, ad ogni costo cerca di realizzare.

Insomma una desolante solitudine. Non solo di Drogo, ma degli altri soldati ed ufficiali, che dialogano nella loro intimità senza chiedere mai aiuto ai compagni.

Così per Angustina, così per il colonnello Filimore, barricato nel suo ufficio, ad osservare dalla finestra la sempre uguale e sconfinata pianura.

Così infine per il sarto, che si ritrova a rattoppare uniformi lasciate a marcire nel soffitto.

Un libro lasciato a molteplici significati.

 Io vivo da solo a Minorca, ben sperando ed anzi, auspicando non accada nulla di cosi tremendo come una guerra, una catastrofe, una calamità naturale. Tutto ciò pero’ è accaduto, anche se io ero qui, placidamente coccolato dal sole e dal mare.

Qui il 7 Ottobre è iniziato il conflitto fra Israele ed Hezbollah, senza che io potessi fare niente, ma è accaduto.

 Insomma, nell’attesa che si compia il senso dell’esistenza e il suo destino, l’apparente nulla della mia routine e del tenente Drogo, diventano il tutto. Io accesi più televisioni, comprai cinque quotidiani, e l’evento mi trascinò in una angoscia tremenda.

Il nulla della routine è il senso di questa esistenza, che ognuno di noi, sceglie come, dove e quando percorrere.

In fondo il libro di Buzzati, non ci descrive una vita di un uomo fallito, tutt’altro. Il contesto è quello pieno di obblighi e doveri, di adempimenti da assolvere, poiché il nemico potrebbe giungere all’improvviso e non ci si deve mai e poi mai trovare impreparati.

 Questo lo sostengo anch’io. Forse un insegnamento di vita, forse un monito.

Divertente lo spunto per questo libro: la monotona routine redazionale notturna che faceva a quei tempi. “Molto spesso”, afferma lo stesso Buzzati, “ avevo l’idea che quel tran tran dovesse andare avanti senza termine e che mi avrebbe consumato così inutilmente la vita”.

Quindi da qui, la fuga dal tempo.

 Come per me Minorca: una fuga da ciò a cui non riesco a dare spiegazione. Ma anche una fuga dallo spazio, nel romanzo, indefinito, a perdita d’occhio, esteso ed incommensurabile.

Insomma, noi tutti, da un lato siamo convinti di padroneggiare i contesti dell’esistenza, dall’altro ne scrutiamo la distanza, ansiosi e condizionati da eventi attesi e imprevedibili.

La routine porta alla solitudine, al tempo che scorre inesorabile, tanto che Drogo arriva alla fortezza a diciotto anni e ne esce quasi quarant’anni dopo.

Da qui anche il forte senso di responsabilità di Drogo, che assunto l’impegno di difendere la fortezza da un improbabile, ma temuto attacco, porterà a termine la sua missione: l’impegno preso lo legava all’attesa come dovere assoluto.

Quello a cui ci sprona Buzzati è a non sederci, spiaggiarci, accasciarci sulle nostre abitudini, altrimenti esse finiranno per prendere il sopravvento, rispetto a possibili azioni divergenti, nuove ed inaspettate.

L’attesa e lo scorrere del tempo, diventerebbero il nostro senso della vita, e noi non vorremmo mai vivere cosi. Io vorrei dire ai miei genitori che sto a Minorca, fintanto che la noia non prende il sopravvento, per poi andare incontro a qualcosa di nuovo. Certamente, con una non dissimulata paura verso l’incognito e le cose nuove, che sconvolgono la mia routine.

Non dobbiamo nemmeno farci sopraffare dalle regole. Quando si è da soli ci si deve dare delle regole di vita, ma con l’obiettivo che lo scorrere del tempo, non faccia sì che le regole custodiscano noi, e non noi che custodiamo le regole.

A buon intenditor poche parole. Anche nella sterminata pianura,  solitaria e vuota, che si stende davanti alla ridotta militare, ci sono delle opportunità attese o volute in qualche modo.

Lo stesso tenente, che pure alla fine si convince che il cavallo non annuncia l’arrivo dei Tartari, vive l’episodio come un segnale positivo: ” Si sentì improvvisamente disposto a qualsiasi avventura. Lo riempiva di gioia il presentimento che il suo destino era alle porte”.

Come diceva Il sommo poeta Giacomo Leopardi: ”Sono convinto che anche nell’ultimo istante della nostra vita, abbiamo la possibilità di cambiare il nostro destino”.

Non facciamoci intrappolare, non seguiamo regole predefinite, non perdiamoci in schemi da seguire pedissequamente: viviamo. In libertà, con onore e dignità, seguendo le regole, infrangendole (non in modo grave sia chiaro), e perdiamoci in quello che il destino ci saprà offrire. Non aspettiamo che arrivino i Tartari insomma, andiamo noi da loro e distruggiamoli, perché ne abbiamo tutte le possibilità.

 Scavalchiamo la collina, buchiamo l’orizzonte, selliamo il cavallo e imbattiamoci in questa bellissima battaglia, che poi non è altro che la vita.

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